Allo scopo di tentare di arginare fenomeni elusivi realizzati con lo schermo societario e disincentivare l'utilizzo dell'istituto societario per nascondere i patrimoni personali già da vari anni fa il Legislatore fiscale si è inventato un sistema in base al quale, applicando ad alcune voci dell'attivo patrimoniale (titoli di partecipazione e similari, immobili strumentali e altre immobilizzazioni) specifici coefficienti percentuali, arriva a determinare un reddito minimo imponibile da assoggettare comunque ad IRES ed IRAP (art. 30, commi 1-3, della L.724/1994) e a negare la fruizione del credito IVA (art. 30 c. 4 della stessa Legge). Con la manovra di ferragosto il Governo si è occupato ancora delle società di comodo elevando dal 27,50% al 38,00% l'aliquota dell'IRES sul reddito presunto (art. 2 c. 36-quinquies del D.L. 138/2011) ed ampliando la platea dei soggetti interessati con l'inserimento anche delle società in perdita per tre periodi d'imposta consecutivi (art. 2 c. 36-decies dello stesso Decreto). Si tratta ovviamente di tutti interventi diretti a scoraggiare o penalizzare situazioni al limite dell'abusività che però, nella generalizzazione, coinvolgono inevitabilmente anche società realmente operanti in temporanea difficoltà; per esse il sistema prevede un rimedio costituito dalla facoltà di presentare all'Amministrazione finanziaria un "interpello disapplicativo" (art. 30 c. 4-bis della L. 724/1994): si può perciò segnalare la specificità della propria situazione chiedendo di essere di volta in volta esclusa dall'applicazione del regime delle società di comodo.
Da questo argomento, esposto in estrema sintesi, scaturiscono alcune riflessioni e considerazioni di natura politico-tributaria.
La prima questione (quella che forse risalta di più) riguarda l'inclusione nel regime delle società di comodo delle società in perdita per tre periodi d'imposta consecutivi: è infatti francamente assurdo ed inconcepibile introdurre una penalizzazione così grave proprio in un periodo in cui la crisi economico-finanziaria globale travolge quasi tutti i settori imprenditoriali, determina una recessione difficile da contenere, richiede l'impiego di risorse pre-esistenti, esige uno sforzo incredibile per mantenere in piedi le aziende e tentare di conservare le maestranze qualificate in attesa della ripresa ed espone inevitabilmente all'accumulo di reiterate perdite di esercizio! Il buon senso suggerirebbe di aiutare ed incoraggiare il sistema delle imprese e, se proprio questo non è possibile, almeno di non penalizzarlo ulteriormente e invece ...
La seconda questione riguarda la via di fuga dell'interpello disapplicativo offerta alle società che possono presentare di volta in volta alla Direzione Regionale dell'Agenzia delle Entrate una richiesta motivata e documentata di esclusione dal regime delle società di comodo (cfr. Ag. Entr., Circ. 32/E-2010): è infatti parimenti inconcepibile che la valutazione della fattispecie sia rimessa proprio alla stessa amministrazione che ha un interesse esattamente contrario a quello della società, che deve preoccuparsi di raggiungere il budget annuale assegnato dall'autorità centrale, che si avvale di personale anche dirigenziale assai poco incline ad assumersi la responsabilità di rinunciare al gettito e che è perciò tendenzialmente orientata a trovare il pretesto per non assecondare (salvo in casi eccezionalissimi) le esigenze dei contribuenti! Anche in questo caso il rimedio apprestato dal Legislatore è dunque deludente, scarsamente efficace e inutilmente praticabile.
La terza questione riguarda le presunzioni legali pro-Fisco che ormai hanno stravolto i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico consentendo di ribaltare sui contribuenti il compito di dimostrare il contrario in spregio alla regola generale sull'onere della prova ("chi vuol far valere un diritto ... deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento" - art. 2697 c.c.): questa abitudine del Legislatore di facilitare sempre di più l'azione accertativa dell'Amministrazione finanziaria in danno dei contribuenti dimostra, in primo luogo, l'incapacità del sistema di scovare i veri disonesti fiscali con gli ordinari poteri investigativi e, in secondo luogo, il potenziamento della prepotenza oppressiva dell'istituzione verso i cittadini ormai divenuti sudditi inermi ed apatici. Per quanto riguarda infatti le società, è previsto l'utilizzo dei relativi modelli per consentire l'esercizio in forma collettiva di un'impresa allo scopo di ripartirne gli utili (art. 2247 c.c.), tant'è che per il puro godimento in forma collettiva dei beni si applicano le norme sulla comunione e non quelle sulle società (art. 2248 c.c.): ciò significa che, se viene costituita una società (formalmente) per esercitare una impresa e cioè "... un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi" (art. 2082 c.c.), ma (sostanzialmente) per rimanere nel tempo inattiva senza alcuna ragione oggettivamente impeditiva, si verifica un evidente abuso dello strumento societario, da accertare caso per caso con ogni conseguente effetto anche sul piano tributario; per raggiungere questo risultato l'utilizzo di criteri basati sull'applicazione di particolari coefficienti percentuali alle voci dell'attivo patrimoniale o sul pluriennale realizzo di perdite può servire a selezionare le posizioni da controllare, ma di certo non per inventare di sana pianta presunti redditi d'impresa insussistenti e sottoporli ad una tassazione maggiorata del 10,50% in più (l'aliquota del 38,00%, rispetto a quella ordinaria del 27,50%, è infatti maggiorata del +38,19%!).
In conclusione, il regime delle società di comodo in generale e l'introduzione della nuova fattispecie delle società in perdita triennale costituiscono uno dei numerosi esempi di mala gestio del potere normativo volta a favorire il Fisco in danno dei contribuenti, colpevolizzando a priori tutti i contribuenti che si trovano in una determinata situazione di teorica anomalia (nella specie, società di comodo), ribaltando l'onere di provare il contrario sui malcapitati, illudendoli di poter sfuggire al regime speciale per le vie brevi con l'interpello disapplicativo discrezionalmente rimesso alla Stessa Amministrazione portatrice di un interesse diametralmente opposto, costringendoli, in caso di diniego, a dover intraprendere immediatamente l'iter contenzioso davanti alla Commissione Tributaria competente (cfr. C. Cass., Sent. 8663/2011) ed esponendoli intanto all'obbligo di pagare ugualmente i gravosi tributi con animo di ripetizione all'esito del Giudizio (magari protrattosi per tre gradi con conseguente sostenimento dei relativi costi di difesa); una penalizzazione nel complesso estremamente gravosa!
Nel delineato contesto, pur essendo giusto l'obiettivo di scovare i profittatori per assoggettarli a tassazione, il metodo continua ad essere sbagliato: si spara nel mucchio per tentare di colpire chi lo merita, ma le vittime non si contano e i danni che ne conseguono finiscono per superare i vantaggi sperati. Serve perciò un cambiamento radicale che restituisca ad ognuno il ruolo, le prerogative e le garanzie che competono in uno Stato di diritto rispettoso della dignità e del valore dei Suoi Cittadini!
Modilaut
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