Una delle poche novità interessanti ed apprezzabili introdotte dall’ultimo Governo di centro-sinistra era il regime agevolato dei Contribuenti cd. “minimi” privi di lavoratori dipendenti, con beni strumentali di modesto valore e volume d’affari annuo non superiore ad € 30.000,00 (art. 1, commi 96÷117, della L. 244/2007): il loro reddito veniva infatti assoggettato ad un imposta sostitutiva del 20% che determinava una pressione fiscale accettabile, sia pure ad un prezzo non proprio trascurabile (indetraibilità dell’IVA assolta sugli acquisti). Si trattava perciò di una misura giusta, perfettamente coerente anche con il primo principio fondamentale della nostra Costituzione in base al quale “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” (art. 1); è una proclamazione impegnativa, che impone un atteggiamento dello Stato particolarmente benevolo verso chi lavora, compresa la costruzione di un sistema fiscale misurato, equilibrato, non oppressivo né ossessivo, adatto a proteggere ed incentivare l’intraprendenza e l’operosità dei Cittadini.
Per questa ragione quel regime agevolato avrebbe dovuto essere addirittura esteso anche ad altri Contribuenti con volumi d’affari ben superiori (magari fino a € 250.000,00 l’anno), con dipendenti e con beni strumentali di valore più consistente; si trattava infatti di un sistema che scoraggiava l’evasione, rispettava il lavoro dei cd. “autonomi” (in senso lato, compresi i piccoli imprenditori, i commercianti, gli artigiani ed i professionisti) ed oltretutto serviva anche a sfoltire in modo significativo la platea dei Contribuenti interessanti da verificare, liberando risorse umane per intensificare altri ben più interessanti controlli.
La manovra estiva l’ha spazzata via in un battibaleno ed al suo posto ha introdotto un regime certamente molto più agevolato (l’imposta sostitutiva è del 5%), ma anche molto più complicato e limitato in quanto sottoposto a termine (massimo cinque anni), soggettivamente delimitato (si applica solo ai contribuenti con età anagrafica fino a 35 anni) e subordinato alle ulteriori condizioni che deve trattarsi di una nuova attività avviata non prima dell’anno 2007, che non deve essere stata comunque esercitata un’altra attività nei tre anni precedenti, che non deve costituire prosecuzione di un’attività già svolta come dipendente o autonomo, … (art. 27, commi 1÷6 del D.L. 98/2011).
La stragrande maggioranza di quei Contribuenti che vivono del proprio lavoro e che svolgono un’attività di tipo marginale tornerà dunque alla ben più penalizzante tassazione di tipo ordinario ed alla applicazione degli studi di settore con tutte le conseguenze e gli inasprimenti anche sanzionatori introdotti con la manovra (art. 23 c. 28 del D.L. 98/2011).
A questo punto non si può non rilevare una situazione quantomeno singolare. Qualche mese fa è stata introdotta la cd. “cedolare secca” sulle locazioni ad nuso abitativo (si tratta di una imposta sostitutiva del 19% o del 21% – art. 3 del D.Lgs. 23/2011); con la annunciata riforma tributaria la tassazione delle rendite finanziarie sarà uniformata al 20,00% livellando per eccesso e per difetto le due diverse aliquote attuali (12,50% e 27,00%) che comunque sono di per sé già contenute rispetto alla pressione fiscale media ordinaria (superiore al 40,00%). Ciò significa che chi possiede proprietà immobiliari da concedere in locazione ad uso abitativo viene sottoposto ad una tassazione media del 20%, chi dispone di risparmi finanziari viene sottoposto ad una tassazione compresa tra il 12,50% ed il 27,00% (con la annunciata riforma fiscale si stabilirà al 20,00%), mentre chi vivrà del proprio lavoro (dipendente o autonomo) continuerà a subire una ben più elevata falcidia fiscale (oltre il 40,00%) e sarà sottoposto alla consueta oppressione ed ossessione tributaria.
Non sarà il caso di riscrivere l’art. 1 della Costituzione con buona pace di tutti “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sulle rendite immobiliari e finanziarie”? Sic!
Modilaut
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